piazza gatti francavilla fontana
Foto: Alessandro Leo

Verso metà luglio passeggiavo col naso all’insù per le stradine del centro storico di Francavilla. Ero lì per scattare delle foto promozionali, sperando che potessero tornare utili per un evento che si sarebbe tenuto tra via Roma e Chiesa Madre a fine mese. Dato che era quasi mezzogiorno e il sole picchiava pesante, mi sono detto: facciamo in fretta.

Eccomi allora alla ricerca di qualche angolo anche solo appena presentabile. Una ricerca tutt’altro che agevole, dal momento che il centro storico di Francavilla è messo piuttosto male: auto parcheggiate in palese divieto anche di mattina, sporcizia, cavi della corrente che si inseguono da una parete all’altra come serpi senza capo né coda, muri diroccati e case abbandonate ormai da tempo – questi sono solo alcuni degli elementi disturbanti che caratterizzano il paesaggio della città vecchia.

Quanto alla sporcizia, quella mattina mi aveva colpito in particolare una piccola installazione artistica, per così dire, lasciata  in bella mostra sulla chiesetta di San Giovanni: in alto, sul bordo della finestrella che dà sulla piazzetta con le porte verdi – tenete a mente questo particolare, tornerà utile in seguito – c’era una bottiglia di Dreher vuota in equilibrio precario, indecisa se restarsene appollaiata lì o gettarsi di sotto in preda alla disperazione.

In preda alla disperazione ero sicuramente io, a quel punto: se davvero mi fossi messo a fotografare questo nostro paradiso sgarrupato, con tutta probabilità avrei finito col fare una cattiva promozione per quella che avrebbe dovuto essere la splendida cornice dell’evento, tanto per abusare ancora una volta di un’espressione già abbastanza terribile di suo. E questo nonostante la mia passione per i posti abbandonati (che spesso si traduce in sospetto per quelli troppo puliti). Alla fine, pensate un po’, ho preferito rinunciare all’idea delle foto promozionali, se si eccettua qualche scatto alla cupola e alla facciata dell’imponente Chiesa Madre.

Solo qualche giorno prima mi era capitato di parlare con una signora che risiede da diversi anni nel centro storico. Da lei avevo sentito la solita sequela di lamentazioni: è tutto sporco, mi pisciano sull’uscio di casa, di notte ho persino paura di uscire.

Tutto giusto, mi sono detto, oltre che ascoltato mille volte, e da un sacco di residenti. La questione del decoro del centro storico francavillese perdura da anni, in effetti: dell’affollarsi e stratificarsi di insegne, cavi elettrici e passate di asfalto sulle chianche ne avevamo parlato anche noi di Petrolio, quasi dieci anni fa, in una videopasseggiata con il professor Guglielmo Cozzolino. Negli anni se n’è continuato a parlare puntando il dito contro la movida – con tanto di ingenerosi paragoni tra la storica e politicizzata movida madrileña e quella nostrana – fino alla nascita, nel 2015, del Comitato Spontaneo Residenti del Centro Storico, cui aveva risposto un non meglio specificato movimento a difesa della vita notturna francavillese.

Quando si parla di movida e vita notturna, naturalmente, si parla soprattutto di giovani. I giovani, specie i giovanissimi, a Francavilla sono una categoria dello spirito: tutti ne parlano, ma sono in pochissimi a parlarci di persona, a chiedere ai diretti interessati cosa si aspettano da una città come Francavilla prima che sia troppo tardi. Perché è vero, qui ci sono un sacco di ragazzi e ragazzini – e proprio la movida contribuisce a restituire l’impressione, soprattutto d’inverno, di una città tutt’altro che svuotata come altre limitrofe – ma poi questi giovanotti vanno via, per studio o lavoro. Nel frattempo nessuno o quasi si è dato pena di incontrarli per recepirne bisogni e desideri, salvo additarli come teppistelli e predoni del centro storico quando la situazione oltrepassa ogni limite di decenza.

E allora mi sono detto: parliamoci noi di Petrolio, con questi ragazzi. Ho preso il telefono, ho chiamato una mia vecchia ma molto giovane conoscenza e gli ho chiesto: facciamo un giro nel centro storico? Porta qualche amico, se necessario, così mi raccontate cosa fate la sera in città. Il sedicenne Qui ha accettato subito l’invito, allertando pure gli amici e coetanei Quo e Qua, ovvero la metà delle persone che compongono quella che da questo momento in poi – ancora per non violare la privacy di questi ragazzi – chiamerò comitiva Duck Tales. Vai con la sigla.

L’appuntamento è al Giba, in piazza Umberto I, alle quattro del pomeriggio. All’inizio c’è solo Qui, mentre io mi sono presentato con altre tre persone della redazione di Petrolio. Sulle prime devo rassicurare il ragazzo sul fatto che i miei amici, nonostante l’aspetto un po’ serioso, non siano sbirri. Dopo il caffè – rigorosamente in ghiaccio con latte di mandorla per Qui, offre Petrolio – incontriamo anche Quo e Qua, che ci aspettano nei pressi del distributore automatico di bibite di lato al Caffè Centrale. All’inizio anche loro sembrano un po’ diffidenti, ma è lo stesso Qui a rassicurarli circa la nostra tranquillità. E così ci avventuriamo nel centro storico, dove la comitiva Duck Tales, da quel che sapevo, è solita passare le sue serate.

“Da un po’ preferiamo stare in piazza” chiarisce subito Qui. “Il centro storico non è più sicuro come prima, e comunque in piazza c’è più gente e possiamo passare inosservati.”
“Perché passare inosservati?” chiedo.
“Be’, per stare tranquilli.”
“Tranquilli?”
I tre ridono. Siamo in piazza Dante, pronti a proseguire verso via San Salvatore.
“D’accordo. Allora, cosa significa che il centro storico non è più sicuro come prima?”
“Che non puoi fare gli affari tuoi.”
“Cose tipo bere, fumare?”
“Sì.”
“E nel centro storico perché non si può fare?”
“Ci sono i carabinieri.”
“Vi fermano spesso?”
“Per la verità no, se te ne stai tranquillo senza farti notare non ti cacano. Ma è comunque una scocciatura.”

Uno dei motivi per cui avevo deciso di contattare Qui era per via di una cosa che mi aveva raccontato tempo fa: ovvero, di come lui e i suoi amici hanno rinominato alcune zone del centro storico. Sapevo da altre fonti che la piazzetta con la fontana alle spalle di via San Salvatore – piazzetta di cui neppure io so il nome, a dirla tutta – viene chiamata Chiazza ti li jatti (per via dei gatti che ci vivono, ovviamente) e che in quella piazza si va per fumare. Ricordo di aver visto spesso, sugli scalini di un’abitazione abbandonata lì vicino, dei ragazzi con tanto di chitarra, un gruppetto piuttosto nutrito che di solito si mette a cantare, di sera.
“No” dice Quo, “in quella piazza non ci andiamo, di solito, anche se sappiamo che la chiamano così.” E così proseguiamo per uno dei luoghi preferiti della comitiva: il cosiddetto Porcoddio.

chiesa centro storico francavilla fontana
Foto: Gabriele Fanelli

Porcoddio è in realtà vico Fino, lo slargo di chianche e cemento in cui, da quanto ci raccontano Qui, Quo e Qua, fino a qualche tempo fa si raccoglievano un bel po’ di ragazzi, nonostante stare lì fosse un po’ problematico. Qua indica degli scalini davanti all’ingresso di un’abitazione. “Il proprietario ci metteva olio e a volte anche del grasso per non farci sedere, ma noi ci venivamo lo stesso. Finché non ha aperto la pizzeria accanto.” Indica la pizzeria Rosso Piccante: si è trasferita qui da qualche mese, in alto c’è la terrazza da cui si può ammirare tutto il centro storico francavillese.

“E come passavate le serate, qui a Porcoddio?” chiedo.
“Be’, di solito si giocava, si fumava, si beveva…” risponde Quo.
“Fumare… sigarette?”
“Sì.”
“E dove le comprate?”
“Qualche tabaccaio alla fine ce le vende. Dipende dall’orario e da quanta gente c’è in giro.”
“Fumate anche altro?”
Quo e Qua si guardano, sembrano restii a rispondere. Cercano lo sguardo di Qui. “È tranquillo” li rassicura ancora lui, riferendosi a me come se fossi la versione scema di un preside comunque molto giovanile nonostante il passato nell’esercito. I tre ammettono che qualche canna ogni tanto se la fumano. “Per noi non sono droghe” dice Qui, che ha sempre le idee molto chiare su un mucchio di cose. “Non è un caso che all’estero si possa fumare tranquillamente” spiega. Gli chiedo se ci sono droghe vere che girano nel centro storico, allora. I tre sorridono, e così viene fuori tutta la loro ingenuità di adolescenti, smentita all’istante da quello che aggiungono subito dopo. “Sì, la cocaina gira eccome” dice Qui. “Tra i ragazzi più grandi. Lo sanno tutti.”
“E voi l’avete mai provata?”
“Mai.”
Gli credo sulla parola, dato che di colpo mi sembrano tornati dei ragazzini che giocano a parlare di cose da adulti: però devo fargli un’altra domanda a tema.
“E l’eroina? Sapete che a Francavilla ne girava molta, in passato, e che probabilmente ce n’è ancora?”
“Sì” dice Qui. “Nel centro storico non ne vediamo, ma sappiamo che in passato girava. Ce lo ha raccontato lo zio di un nostro amico, che aveva qualche conoscente che si bucava.”
Per cambiare discorso torno sui passatempi delle serate a Porcoddio. “A cosa giocavate?”
“Solite cose: scopa, briscola…” dice Qui.
“E Stramuè” aggiunge Qua, ridendo. È un gioco che non conosco, quindi mi faccio spiegare come funziona. A quel punto però sono distratto, e così tutto quello che capisco è solo che questo Stramuè non è un gioco che si fa con le carte e che in effetti, necessitando di molti partecipanti, si finisce col fare un po’ di casino. L’origine della mia distrazione è un’associazione mentale: sto pensando al fatto che per funzionare, i luoghi – proprio come i giochi – hanno bisogno di regole certe, ma soprattutto condivise. Forse è quello che manca al centro storico di Francavilla: un insieme di regole condivise tra residenti, esercenti, avventori e fruitori di questa zona, inclusi gli anziani che frequentano piazza Umberto I nel pomeriggio.
Tra una chiacchiera e l’altra, intanto, con i tre adolescenti ci spostiamo giusto qualche metro più in là, verso piazzetta San Giovanni, di lato alla chiesa: ovvero alle Porte Verdi.

porta abitazione francavilla
Foto: Gabriele Fanelli

“Voi sapete che questa è una chiesa?” chiedo. I tre annuiscono. “L’avete mai vista da dentro?” La risposta è no, ovviamente: del resto neppure io l’ho mai vista aperta. Per la comitiva Duck Tales, comunque, questo posto prende il nome dalle porte verdi dell’abitazione in piazzetta; non molto fantasioso, c’è da dire, ma in questo caso il cambio di toponomastica è loro, quantomeno. Porcoddio, invece, è stato ereditato da ragazzi più grandi: il nomignolo dello slargo veniva dalla bestemmia trascritta per terra con lo spray (poi fatta coprire). Insomma, se si aggiunge anche la Piazzetta – lo spiazzo davanti all’ingresso della scuola elementare Calò, su viale Lilla, dove ogni tanto si spinge la comitiva – ho l’impressione che gli adolescenti francavillesi siano impegnati in una vera e propria operazione di reboot di alcuni luoghi della città.

Il reboot, termine informatico che sta ad indicare il punto di ripristino di un computer, è anche la parola chiave di molto cinema recente: è l’operazione con cui si riavviano alcune saghe ripartendo da zero, per far sì che si possano avvicinare nuove generazioni di fan (è quello che è successo con un sacco di eroi dei fumetti o di vecchi film degli anni ’80-’90, da Spider-Man a Batman fino a Hulk e Terminator). E così gli adolescenti francavillesi si riappropriano della città rinominandone alcuni luoghi: una cosa normale, in fondo, che però dice qualcosa del distacco tra le generazioni più giovani e il centro storico abbandonato, privo ormai di simboli che possano rappresentare tutta la comunità cittadina.

Parlando ancora coi tre, viene fuori che Qua, il più timido, è nipote di un mio amico. Carramba! Realizzo così quanta distanza anagrafica ci sia davvero tra me e questi tre adolescenti in quel modo incontrovertibile che caratterizza la scoperta inaspettata di certi legami, di certi gradi di conoscenza. E forse per questo mi viene da rivolgere ai ragazzi qualche domanda che parte dal mio passato da adolescente in città. “Esistono particolari divisioni tra una comitiva e l’altra?” domando, memore dei gruppetti ben divisi in diverse zone di viale Lilla, quando il sabato e la domenica sera si usciva da quelle parti. La risposta è no, allora insisto: “Ci sono ancora gli shkumati?” I tre ci pensano un po’. “Qualcuno c’è” risponde Qui, “e ogni tanto c’è pure qualche rissa, anche se spesso sono gli adulti a litigare in piazza.” Il che è vero: le ultime scene di cignate potenti che ricordo avevano per protagonisti dei signori sulla cinquantina. Continuo con le domande dal mio passato.
“Vi dividete, chessò, in base al tipo di vestiario? Esistono ancora i fighetti? I metallari? I punk?”
“No” dice Quo, che continua a starsene un po’ sulle sue. “Alla fine i fighetti ci sono, ma nella comitiva ognuno si veste come vuole, in base a come si sente”, un po’ come nel caso degli stessi Qui, Quo e Qua, a ben guardare: ciascuno veste a modo suo, senza apparente coerenza (non li descrivo sempre per questioni di privacy, ma posso dire che vestono abbastanza bene e con una certa personalità, tutto sommato).
“La politica, invece? È motivo di divisioni?”
“Ne parliamo, di politica, ma non è che ci litighiamo…” dice Qui.
“E che ve ne pare?”
“Mah, a livello nazionale secondo me la Lega e i 5Stelle parlano un sacco e combinano poco… Poi non capisco a che serva prendersela con gli immigrati. Alla fine vengono qua per fare lavori che noi italiani non faremmo mai. Noi vogliamo studiare, avere un futuro migliore… Mica abbiamo voglia di spaccarci il culo in campagna.”
Quo e Qua sono d’accordo, anche se sembrano ignorare il fatto che non è detto che un loro coetaneo del Sudan, per fare un esempio, abbia come obiettivo principale quello di “spaccarsi il culo in campagna”, quando emigra.
“E a livello locale?” chiedo. “Secondo voi Francavilla fa abbastanza per i ragazzi della vostra età?”
“Se avessi potuto votare” dice Qui, “avrei votato 5Stelle.”
“Ma hai detto che i 5Stelle…”
“Sì, ma a Francavilla è diverso. E comunque le persone hanno voluto cambiare. Hanno votato un sindaco giovane perché non gli piaceva Francavilla com’era.”
“Eppure si dice che Francavilla sia molto cambiata, negli ultimi anni” faccio notare.
“Sì, però il palazzetto non lo hanno finito, ad esempio.”
“No, il palazzetto no” riconosco, “ma tanto per fare un altro esempio il concerto di Clementino dell’anno scorso mi era sembrato una buona iniziativa, soprattutto per ragazzi della vostra età.”
“Infatti ci siamo andati.”
“E un palazzetto che ospiti dei concerti per voi ragazzi vi piacerebbe?”
“Sì” dice Qui. In generale, pensando al palazzetto, i tre dicono che gli piacerebbe ci fosse più attenzione per altri sport oltre che per il calcio. Decido però di restare sulla musica, altro argomento piuttosto divisivo tra i giovani degli anni ’80 e ’90. Quindi gli chiedo, banalmente, che tipo di musica ascoltano. Devo dire che, tra rap, trap, cantanti italiani e nu soul (qualche nome: Kendrick Lamar, Migos, Noyz Narcos, Gemitaiz, Salmo, Madman), i gusti musicali mi sembrano più eterogenei di un tempo, con meno fossilizzazioni anche un po’ ideologiche su questo o quel genere. L’attenzione dei tre, però, almeno oggi è tutta per un artista locale, un loro coetaneo francavillese che proprio quella notte, a mezzanotte in punto, pubblicherà il suo nuovo singolo su Youtube. Il ragazzo si fa chiamare Bianco Sniper, non lo conosco ma mi riprometto di ascoltare la sua musica una volta tornato a casa.

Poco prima di lasciare le Porte Verdi ci raggiunge, in scooter, un quarto componente della comitiva Duck Tales. Sta con noi poco tempo, quindi evito di affibbiargli un altro nome legato alla Disney. Con i matusa di Petrolio gli facciamo notare che in teoria non dovrebbe trovarsi nel centro storico con lo scooter, lui sorride, chiama Quo e ci parlotta per qualche minuto.
“Voi sapete che c’è un problema nel centro storico, vero?” chiedo a Qui e Qua.
“Sapete che molti residenti si lamentano per la vostra presenza?”
“Sì, ma non è che tutti facciamo bordello” dice Qui. “Ad esempio” aggiunge indicando proprio le porte verdi, “i signori che abitano qui sono molto tranquilli. Ci dicono sempre che se non facciamo casino possiamo restare. E poi pensa che alcuni amici nostri hanno festeggiato il Capodanno con una famiglia che abita nel centro storico. A mezzanotte hanno brindato insieme.”
“Resta il fatto” dico, “che se ci sono molti ragazzi è inevitabile che si crei un po’ di baccano. E poi c’è sempre qualcuno che va a pisciare nei dintorni.”
“Sì” dice Qua, “è chiaro. Infatti servirebbero dei bagni pubblici, oltre che più controlli.”
“Controlli?”
“Sì, alla fine sarebbe anche nel nostro interesse.”
Non nego che questo cortocircuito mi lascia un po’ perplesso. Gli racconto di quella vecchia idea, al momento accantonata, di installare un presidio dei vigili urbani nei locali dell’ex biblioteca, in piazza Dante.
“Be’, ma i vigili servono a poco” dice Qua, mentre l’amico con lo scooter va via e Quo torna da noi. “Ci vogliono i carabinieri” insiste Qua “e le telecamere.” Qui non è d’accordo, almeno sul secondo punto: “Le telecamere le eviti con facilità, se sai dove stanno.” Continuo a non capire, quindi chiedo: “Cioè, a voi andrebbe bene essere controllati dai carabinieri? Prima dicevate che la loro presenza è stata uno dei motivi per cui vi siete spostati in piazza.” Qui ci pensa un po’, prima di rispondere. “Sì, ma alla fine è per il nostro bene. Parlo in generale. Così magari se qualcuno vuole esagerare, ci pensa due volte.”

ragazzi droga francavilla fontana
Foto: Gabriele Fanelli

È tardi. Lasciando le Porte Verdi chiedo alla comitiva Duck Tales se si spinge mai lontano dal centro storico. È allora che mi parlano della Piazzetta sul viale. A quanto pare, da quelle parti si va prima di uscire in piazza, qualcosa di molto simile a un pre-serata. “E lo skate park?” chiedo. “La 167 è troppo lontana” rispondono. Quanto alla Piazzetta: a pensarci bene non lo so neppure io se ha un nome, se magari lo ha preso dalla scuola elementare o dal mezzobusto di Giovanni Calò, insigne pedagogo di fama nazionale di cui i tre credo ignorino la biografia. Ho ancora questa sensazione di reboot, di riappropriazione dei luoghi a partire dalla reinvenzione dei loro nomi ma anche dallo scollamento storico rispetto al contesto che anch’io ho percepito in adolescenza: questo per dire che la smemoratezza di Francavilla non è certo una novità. La sensazione di riavvio, comunque, si amplifica quando ripassiamo davanti al distributore automatico di bibite in piazza: un luogo assolutamente moderno, apparentemente senz’anima e senza storia, che però è anche un punto di ritrovo per molti ragazzi (lo è anche quello su viale Lilla, specie nelle sere d’estate).

Prima di congedarci, con gli altri di Petrolio invitiamo Qui, Quo e Qua a seguirci sui social, in modo che possano leggere questa storia una volta che sarà pubblicata. Ovviamente i tre ci tengono a sottolineare che non hanno Facebook: sia perché lì ci stanno i loro genitori, sia – soprattutto – perché Facebook è semplicemente noioso, per i ragazzi della loro età. E allora ok, va bene: aspettiamo il vostro follow per l’account Instagram di Petrolio, gli diciamo prima di separarci: noi torniamo verso – ehm – Porcoddio, loro si dirigono sul viale, alla Piazzetta, per iniziare una nuova serata.
“Mi raccomando al follow” insistiamo noi vecchi petrolieri: “Vi controlliamo!”.

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