Tra la fine degli anni ’80 e per tutti gli anni ’90 le sale giochi hanno disegnato il volto di Francavilla. Soprattutto quello di viale Lilla, all’epoca popolato di molti locali tra pub, bar e fast food. Eppure, le sale giochi francavillesi non sono mai state mappate, né sono entrate nella storia ufficiale della città. Tutto quello che sappiamo sul loro conto è affidato alla memoria di chi le frequentava assiduamente. Io ero tra quelli.

La mia prima volta, dovevo avere dieci o undici anni, fu in una sala giochi davanti al liceo classico. Non ricordo il nome, solo un portone marrone, sempre accostato, accanto al Martin Bar. Un amico mi aveva detto che lì c’era il leggendario Street Fighter II – Champion Edition. E così un giorno, all’uscita da scuola, varcammo insieme il portone per dare un’occhiata veloce prima di tornare a casa.

Ricordo ancora la nube di fumo di sigarette nella penombra della sala, i colori accesi degli schermi dei cabinati disposti uno accanto all’altro a ridosso dei muri. Uscimmo subito, pupille dilatate e palpebre a fessura per il passaggio dal buio alla luce primaverile del viale, con la sensazione di tornare alla realtà da un mondo parallelo che ci intimoriva e attraeva insieme.

Poi l’apparizione di mio padre dall’altro lato della strada. Troppo tardi per rientrare e nascondermi: prima e ultima volta in sala giochi, per me. Almeno per il momento, perché dopo qualche anno ci sarei tornato, ogni giorno, oscillando tra il Biondo e la VideoSystem per tutta l’adolescenza.

Un’altra Francavilla

Che ambienti erano, le sale giochi dell’epoca? Partiamo dall’esterno, cioè dal contesto di viale Lilla, dove appunto c’erano il Biondo e la VideoSystem, le sale più celebri e frequentate. Per quanto il viavai del viale di allora potrebbe far pensare alla movida di piazza Umberto I di oggi, la Francavilla degli anni ‘90 era molto diversa da quella del nuovo millennio.

Prima di tutto per le modalità di consumo, che influenzavano anche come si stava in giro. Niente tavolini all’aperto e dehor, si mangiava e si beveva per lo più all’interno dei locali. Anche perché quando arrivava l’estate, la città si svuotava – tutti al mare o in campagna – e quindi molti locali chiudevano, a differenza di quanto succede oggi.

Poi la composizione dei gruppi. Per lo più si usciva in comitive ben separate. Ogni gruppo, al di là delle “vasche” di ricognizione su e giù per il viale, occupava un posto diverso sul piazzale della stazione. C’era chi stava nell’ombra, sulle panchine nascoste dai tigli, chi sotto al pub (lo Zodiaco), chi si raggruppava tra le auto parcheggiate qui e lì o ancora chi preferiva bighellonare attorno al grande abete (poi sostituito dalla fontana) al centro di piazzale Matteotti.

Le comitive si formavano in base all’estrazione sociale e al tipo di scuola frequentata, in altri casi seguendo gusti musicali, visioni politiche, uso o meno di droghe, abbigliamento. Difficilmente ci si mischiava. Era una Francavilla ancora molto violenta, tra l’altro: scene di mazzate in stile Street Fighter erano tutt’altro che rare, e incrociare troppo a lungo lo sguardo dello šcumato di turno per strada poteva risultare fatale. Perciò era consigliabile avere sempre un cugino più grande e più grosso a portata di mano.

E come lo chiamavi, il cugino? Urlando, oppure da un telefono pubblico. Sembra scontato, ma è bene ricordare che almeno fino alla fine degli anni ‘90 i telefonini erano aggeggi piuttosto ingombranti per eccentrici uomini d’affari e Internet era lenta o inesistente per la maggior parte dei francavillesi. Il digitale non era ancora diffuso e invasivo rispetto alle nostre vite, e questo pure era uno tra i motivi per cui si andava in sala giochi: ossia per godere delle ultime perle in fatto di tecnologia, per quanto applicata ai videogiochi. D’altra parte le console casalinghe non erano ancora le macchine da guerra odierne e i computer più potenti erano per pochi intenditori e appassionati.

In sala giochi il videogame era puro intrattenimento popolare. Al contrario di quanto avveniva fuori, metteva insieme l’ultimo degli sfigati mingherlini con il più palestrato tra i delinguenti acchiappa-motori che potevi incontrare sul viale. Almeno per quanto riguarda la popolazione maschile di Francavilla, insomma, le sale giochi erano una possibilità di incontro tra persone molto diverse tra loro. E veniamo al dentro.

Bestiario da sala giochi

Nelle sale giochi non c’erano solo videogame: i cabinati coesistevano con i vecchi flipper, i tavoli da biliardo e il calcio balilla, che continuavano ad attirare gente più adulta. I videogiochi però luccicavano sotto gli occhi dei più giovani, anche perché miglioravano a vista d’occhio, specie dal punto di vista grafico. In pochi anni si passò dagli schermi in bianco e nero, colorati artigianalmente con fogli di plastica simile a quella delle fodere dei quaderni da scuola, a quelli quasi psichedelici dei vari Daytona USA, Final Fight, Metal Slug, NBA Jam, Mortal Kombat, eccetera.

Nella coesistenza tra il vecchio e il nuovo, le sale francavillesi raccontavano di come si erano evolute dai club privati, non troppo dissimili da quelli ancora oggi diffusi in città, a veri e propri locali pubblici dedicati all’intrattenimento. Posti in cui, come nel caso della VideoSystem/Trocadero, era possibile anche mangiare e bere qualcosa o addirittura guardare film e partite di calcio nella saletta dedicata.

Certo, la vita all’interno non era facilissima. Il fatto stesso che le sale fossero ambienti per lo più maschili (in cui, altra cosa che oggi potrebbe sembrare strana, si fumava un sacco) la dice lunga. Nel bestiario da sala giochi c’erano tanti tipi pittoreschi, alcuni anche molto pericolosi. Qualche esempio:

  • L’abitudinario, quello fissato col singolo gioco che stava lì per ore, ogni giorno, a cercare di superare il suo stesso record su Pang o Puzzle Bubble;
  • Il pluridecorato, quello con più talenti, che passava da un gioco all’altro con estrema disinvoltura, quasi sempre all’interno di uno stesso genere (di solito giochi sportivi, quindi guida, calcio o tennis);
  • Il passionale, quello che consumava un gioco e poi lo dimenticava per sempre, come in una storia d’amore troppo intensa per durare a lungo;
  • Il filonaro, quello che marinava la scuola e in sala ci andava solo di mattina, per nascondersi da vigili e carabinieri e consumare in santa pace il suo pacchetto di Diana da 10, dedicandosi per lo più al biliardo;
  • Gli spettatori, spesso bambini e ragazzini che si limitavano a osservare e a fare il tifo mentre sfidavi un amico a un picchiaduro;
  • Il bastardo imbattibile, che ti umiliava anche a parole mentre ti faceva a pezzi sullo schermo;
  • Il brušcone, quello che prendeva a calci e pugni il cabinato quando perdeva, o anche solo per recuperare il gettone incastrato nella fessura (spesso, molto spesso, anche quando non c’era alcun gettone incastrato nella fessura).

Menzione speciale, infine, per la categoria più pericolosa: lo šcumato che per un po’ ti guardava giocare con aria fintamente disinteressata per poi rubarti la postazione a spallate, accompagnate dal classico: “Te lo finisco io”. Di solito il bullo non riusciva a superare il livello o il boss su cui eri bloccato, e a te non restava che andartene sconsolato, senza protestare, anzi quasi ringraziando il dritto per averci comunque provato.

C’erano, ovviamente, anche tossici e spacciatori più o meno professionisti, oltre i già citati ladri di polli e di scooter. A queste categorie ne andrebbe aggiunta un’altra che mi pare sia del tutto scomparsa in seguito: quella del cyborg, l’appassionato di musica techno che vestiva con felpe e pantaloni fluorescenti e scarpe-carroarmato. Va sottolineato che i cyborg erano tra i pochi che si presentavano in sala in compagnia di ragazze. Le quali, ipotizzo, dovevano sentirsi evidentemente più emancipate frequentando quel tipo di comitiva.

Dare un tono all’ambiente

È chiaro che non tutte le sale erano uguali. Il Biondo conservò fino all’ultimo un’identità di sala per un pubblico adulto. Lo stesso gestore se ne stava ben riparato dietro il vetro del gabbiotto da cui, attraverso un sofisticato sistema automatico di tubi di plastica, bottoni e cilindri, rilasciava i gettoni senza mai venire a contatto con gli avventori.

Al contrario, la VideoSystem, specie con la trasformazione in Trocadero, provò a darsi un tono più per famiglie, con l’installazione della già citata saletta per le proiezioni e l’introduzione di un buttafuori. Massimo, credo si chiamasse così, girava di stanza in stanza in silenzio, senza dare troppa confidenza a nessuno, per controllare che tutto fosse in ordine.

In generale la VideoSystem era anche un po’ più avanti rispetto alla disponibilità di ultime uscite e giochi più recenti. Mino Distante era già da tempo concessionario e distributore di cabinati per tutto il sud Italia: da quello che mi ha raccontato in seguito, sceglieva personalmente i giochi frequentando fiere in giro per il mondo, per poi assemblarli in mobili che portavano il nome della sua ditta con tanto di design personalizzato. Il nome Trocadero, non a caso, veniva da quello di una famosa sala giochi londinese.

E gli altri?

C’erano anche altre sale in giro per Francavilla, ovviamente. Oltre a quella davanti al liceo classico, ne ricordo un’altra su via Quinto Ennio. Non disponeva di chissà quale offerta e anzi era piuttosto spoglia e squallida, ma dentro c’era l’irresistibile cabinato degli X-Men a sei postazioni. Smisi di frequentarla dopo che il proprietario fu gambizzato per strada, in pieno giorno, davanti all’ingresso del locale.

Diversi bar, pure, avevano uno o due cabinati con cui tentavano di attirare clienti più giovani. Il Bar del Viale non sfuggì alle mie attenzioni quando decise di affiancare a Gals Panic, decisamente per adulti, uno dei primi Virtua Striker (e forse, ma vado a memoria, anche un NBA Jam particolarmente ostico).

Tutti a casa

Oggi, come sappiamo, non ci sono più sale giochi a Francavilla, e anche il viale è molto cambiato. La diffusione della prima Playstation da metà anni ’90 in poi cominciò a scalfire il fascino dei cabinati, spostando definitivamente la fruizione dei videogiochi nelle case dei francavillesi come accadeva nel resto del mondo. E così, mentre le sale chiudevano o iniziavano a ridimensionarsi, in città spuntavano i primi negozi dedicati alle console casalinghe (negozi, estinti poi anch’essi, che meriterebbero un approfondimento a parte).

Della storia delle sale giochi, per il momento orale, restano solo i cabinati – come quelli ritratti nelle foto di quest’articolo, tuttora nei magazzini di Mino Distante –, ormai elementi d’arredo vintage per collezionisti e appassionati di retrogaming.

Col senno di poi sarebbe facile dire che la stagione delle sale giochi fu un’epoca d’oro, in cui si cresceva in fretta e più sani in ambienti decisamente “maschi”, ma sarebbe la classica esagerazione da vecchi babbioni. È vero che da quelle parti si potevano fare esperienze diverse dal solito, a contatto con personalità e situazioni anche estreme che sarebbe stato difficile incontrare altrove, ma non mi sbilancerei oltre: la nostalgia gioca brutti scherzi.

Di sicuro c’è che soprattutto il Biondo e la VideoSystem furono, alla pari di altri locali su viale Lilla, i punti fermi di un ecosistema economico e sociale che caratterizzò la città per diversi anni, influenzando anche indirettamente la vita di tantissime e tantissimi francavillesi. Anche di chi in sala giochi non mise mai piede.

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Foto: Gabriele Fanelli. Si ringraziano Roberta Casadio e Mino Distante per la disponibilità.

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