Caterina Barbaro Forleo nacque a Napoli nel 1874; la sua famiglia, originaria della Spagna, era ricca e facoltosa. Nel 1884, quando aveva dieci anni, i suoi genitori decisero di trasferirsi a Francavilla Fontana, dove possedevano numerose proprietà. Tra queste una maestosa dimora in via Imperiali, conosciuta come lu palazzo ti ton Felici: Caterina ne avrebbe fatto il salotto culturale dell’élite di Francavilla, più o meno negli anni Trenta del Novecento. Non tagliò mai completamente i rapporti con la sua città natale, Napoli: durante la giovinezza, infatti, ci andava spesso per far visita ai nonni.
A causa dell’arretratezza culturale dell’epoca, Caterina fu costretta a studiare a casa, sotto la guida di un precettore. Ma la sua intelligenza esuberante e la sua curiosità irruenta la indussero a portare avanti gli studi da autodidatta, coltivando da sola gli interessi in campo letterario ed artistico. Iniziò a scrivere a fine Ottocento, in un periodo di profonda crisi per l’aristocrazia e per l’assetto di valori preesistente: crisi che coinciderà con l’inquietudine dei diciotto anni.
La sua è una scrittura profondamente decadente, ma anche romantica e intrisa di riferimenti ai classici. Caterina intrattenne scambi epistolari con numerosi letterati dell’epoca: il più importante fu sicuramente quello con Antonio Fogazzaro (tra i massimi esponenti del Romanticismo italiano) – che avrebbe scritto la prefazione alla sua seconda raccolta di novelle del 1895, Farfalle. Qui Fogazzaro descrive Caterina come “[…] un’anima tutta fuoco, sensibilità, fantasia, tale da soffrire e da godere… oltre il comune degli uomini”. Ciononostante, con riferimento alla sua capacità di decifrare la realtà, egli affermò che “… ella sa osservare bene il vero se lo vuole”. Questo dualismo – l’ardore e l’acume – accompagnò tutta la produzione letteraria di Caterina, trovando una sintesi nella continua sfida alla morale del tempo: la scrittrice rivendicava un’autonomia di coscienza che la società non ammetteva in alcun modo.
“Tu che sei nell’anima un fine artista, fa’ che nella tua passionata memoria – come dice una canzone inglese – resti un pensiero di me; ricordami nelle tue visioni poetiche, ne’ tuoi voli fantasiosi, nei tuoi sogni; e, ogni anno, nel bel tempo delle rose, tu stesso intrecciane delle ghirlande e vieni a posarle su quel sepolcro, ove dormirà la fredda fanciulla che non ha amato altri all’infuori di te, che è morta per te!”
La prima raccolta di racconti, Crisalidi (Napoli 1892), fu pubblicata sotto lo pseudonimo di Duchessa D’Este, grazie soprattutto al sostegno dello zio Alfredo Barbaro Forleo il quale, pur appoggiando il coraggio di sua nipote, non credeva pienamente agli ideali di emancipazione di cui lei si faceva promotrice, augurandosi che “la donna istruita saprà anche essere donna nel senso antico”. Crisalidi è piena di riferimenti autobiografici all’adolescenza di Caterina, raccontati con una prosa fluida ma al tempo stesso ricercata.
La seconda pubblicazione di Caterina, Farfalle (Bologna 1895), rappresenta la naturale evoluzione del suo percorso di formazione. In queste novelle emerge una grande insofferenza per le regole imposte dalla società borghese, in linea con l’attitudine di scrittrice romantico-decadente – quelle stesse regole che la schiacciarono definitivamente, impedendo un seguito alla sua carriera letteraria: il matrimonio con il conte Roberto di Gaeta, un uomo equilibrato e paziente, stroncò i suoi ardori giovanili facendola piombare nell’oblio della vita quotidiana.
È nel periodo successivo all’uscita di Farfalle, probabilmente l’apice della sua attività letteraria, che scrive a un’amica queste righe che suonano come un epitaffio: “Amo il frastuono assordante delle dimostrazioni popolari, le feste chiassose. Amo lo studio serio che ti spiritualizza, ti anima, ti consola, ti incoraggia nelle diverse epoche della vita. Amo la musica, la prosa, la poesia, la pittura, il disegno. Amo gli ingegni forti e fini, gli animi delicati, i cuori che sentono, che amano. Amo i cuori deboli e affranti. Amo l’arte. Amo molto e ho bisogno di essere amata: ecco tutto”.
Caterina Barbaro Forleo morì a Francavilla nel 1935, dopo aver invano combattuto per ribaltare gli schemi di una realtà provinciale, probabilmente nel rimpianto di non aver vissuto a pieno la sua vocazione artistica, e di non essere mai stata amata come avrebbe voluto.
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Bibliografia: Da quelle antiche voci: Francavilla Fontana – I suoi uomini, la sua cultura di Maria Corvino Forleo (Schena Editore)
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